Il museo delle lacrime

Piangeva Ulisse pensando alla patria lontana,
piangeva Achille alla morte di Patroclo,
piangeva Pericle al processo di Aspasia,
piangeva Paolo, in silenzio, mentre Francesca raccontava,
piangeva Lincoln per le difficoltà della guerra,
piangeva Churchill, in pubblico, in momenti di grande stress e tensione,
piangevano i nobili di cuore in epoche passate,
ma noi oggi vogliamo assomigliare sempre
di più ai robot e non vogliamo/possiamo più piangere.

 

Gli studi evidenziano che il pianto, espressione di dolore, paura o gioia, è benefico come sfogo emozionale, sebbene gli uomini piangano in media cinque volte meno delle donne (Università di Pittsburgh). Le motivazioni sono biologiche, il testosterone è un inibitore del pianto, ma soprattutto culturali, con la società che spesso associa il pianto maschile alla debolezza.

Il pianto, però, è un linguaggio universale delle emozioni, una forma di comunicazione che trascende le barriere culturali e sociali. Negare agli uomini l'espressione del proprio dolore o delle proprie gioie è una forma di oppressione emotiva.

Rivendicare il diritto di piangere non è un atto di debolezza, bensì un atto di coraggio e auto-accettazione. Gli uomini devono sfidare il mito della "mascolinità tossica", che suggerisce che mostrare emozioni sia segno di debolezza.

Questo progetto nella prima parte (quella dell’esposizione) vuol celebrare tutte le lacrime non versate che invece sono sane e legittime e nella seconda parte (quella del merchandising del museo) vuol rivendicare il diritto di versare lacrime.

Le fotografie sottostanti si riferiscono alla mostra “Out of Blindness“ curata da Silvia Bigi.

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